Per raccontare come entrai alla Rai, seguendo un percorso inatteso, devo tornare con la memoria al marzo del 1968 e premettere che furono utili i miei trascorsi come scout.

Proprio così, come racconto ad Andrea Scarpa nel libro “Samurai” a pag. 209: “Feci la “promessa” a 13 anni, nel 1952, e diventai Capo Reparto a 20, nel 1959.”

Dopo aver abbandonato gli studi universitari, l’esperienza acquisita come educatore negli scout mi permise nel 1963 di essere assunto come impiegato all’Enaoli, l’Ente Nazionale Assistenza Orfani dei Lavoratori, dove svolsi un doppio ruolo di docente per il personale educativo e di funzionario presso la Direzione generale che gestiva i collegi che ospitavano i ragazzi.

Il mio impegno umano e professionale nel mondo giovanile, presso l’Enaoli e negli scout dove assunsi il ruolo di responsabile del Reparto Pegaso del gruppo Roma 71 a capo di trentadue ragazzi di estrazione sociale molto diverse, consolidarono la mia notorietà nel mondo dell’associazionismo giovanile cattolico e mi feci conoscere e apprezzare come dirigente del movimento scout.

Di questo mio attivismo nel mondo sociale ed educativo a contatto con i giovani, se ne accorse in modo particolare il professor Paolo Emilio Taviani, che fu più volte anche ministro, che mi conosceva anche per il rapporto di amicizia che mi legava a tre dei suoi otto figli, Cesare, Beppe e Andrea.

Taviani mi presentò a Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, non prima di aver svolto le opportune verifiche sulla mia persona che, venni a sapere successivamente, coinvolsero anche il professor Vittorio Bachelet, all’epoca presidente dell’Azione Cattolica.

Non posso tuttavia dimenticare l’emozione e la sorpresa quando il 18 marzo 1968 ricevetti una lettera a firma del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, l’onorevole Angelo Salizzoni, nella quale, in qualità di “esperto in problemi giovanili”, venivo chiamato a far parte del “Comitato per lo studio dei problemi della gioventù”, costituito solo pochi giorni prima il 6 marzo.

La lettera del 18 marzo 1968 con cui Mario Maffucci è invitato dalla Presidenza del Consiglio a far parte del Comitato per lo studio dei problemi della gioventù.

Erano gli anni del movimento studentesco del ’68 e della contestazione al sistema e allo status quo. Ettore Bernabei mi fece capire di aver bisogno di uomini e donne che aiutassero la televisione pubblica a capire e interpretare ciò che stava emergendo nel Paese e, in particolare, nel mondo giovanile. La mia fortuna fu proprio quella di incontrare dirigenti come Bernabei che “volevano agganciare la contemporaneità” coinvolgendo persone come me che, pur non avendo un titolo accademico, erano molto motivate, affidabili e preparate. E con tanta voglia di fare.

La nomina ricevuta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri fu l’attestato che Bernabei forse aspettava per farmi una proposta di collaborazione che dopo cinque anni diventò un’assunzione a tutti gli effetti. All’epoca la Rai era una società privata che garantiva un servizio pubblico e la chiamata diretta era nell’ambito delle sue prerogative.

Così entrai a Viale Mazzini e, se all’inizio fui entusiasta ma anche intimorito dalla responsabilità del nuovo incarico, credo di aver onorato la fortuna che quella lettera, tanto speciale quanto inaspettata, mi aveva recapitato.