La missione segreta

La missione segreta

Nel novembre del 1974 mi ritrovai ad affrontare una “missione segreta” in Cile ad un anno dal golpe di Pinochet.

brano tratto dal libro “Samurai” (pagg. 216-218)

Addirittura?
Di sicuro Forrest Gump era sbarcato a viale Mazzini. A conferma di questo mi ritrovai a fare una “missione segreta” (siamo nel novembre 1974) in Cile, ad un anno dal golpe di Pinochet.

Una missione segreta? Che ci facevi lì?
Paolo Emilio Taviani mi chiese di andare lì a fare un servizio. Devi tener presente che solo i governi di Italia e di Svezia non hanno mai riconosciuto il governo di Pinochet. Praticamente Taviani non sarebbe potuto entrare in Cile. L’attacco dei militari alla Moneda, il palazzo presidenziale di Salvador Allende, ci fu l’11 settembre 1973 ed io, più o meno un anno dopo, mi ritrovai su un affollatissimo volo Alitalia che da Roma via Buenos Aires mi avrebbe portato a Santiago. Un aereo che nella capitale argentina si svuotò. A bordo per l’ultimo tratto rimanemmo l’equipaggio ed io. In quell’inferno (ricordati che nell’Estadio Nacional c’erano ancora gli oppositori arrestati durante il golpe…) nessuno voleva andare… anche un anno dopo il cambiamento di regime.

Per dare una mano a chi?
Al mio amico Cesare, uno dei figli del professor Taviani. Non tanto una “mano”, ma un servizio utile sì. Cesare, con sua moglie Giusy e la figlia Paola, si era stabilito a Curanilahue, nel Sud depresso del paese, per fondare con un amico sacerdote, Valentino Tresalti, una scuola di formazione tecnica da inserire nel sistema pubblico cileno.

Dammi qualche notizia in più, per inquadrare bene il progetto.
Si trattò di dare ad una comunità legata all’estrazione del carbone un’alternativa. In lingua Mapuche, Curanilahue vuol dire “luogo della pietra nera” (il carbone appunto). La scuola che Cesare si apprestava a costruire e a far funzionare, puntava al settore elettromeccanico, del legno, della sartoria e sull’alfabetizzazione. L’obiettivo era evidente… aprire una nuova strada alle prospettive lavorative del villaggio, che il governo di Pinochet non avrebbe assicurato.

Ritorniamo al momento del tuo arrivo a Santiago: come andò?
Io avevo il mio bagaglio, una grande valigia per Cesare e – nascoste sotto la fodera del mio cappotto – due grandi buste da consegnare alla Democrazia Cristiana cilena, che ormai operava in clandestinità. Ricordo ancora il tratto a piedi dall’aereo all’ingresso in aeroporto, sotto il sole accecante, con i parà in assetto di guerra con i mitra in mano. E sui tetti si vedevano i cecchini pronti a tutto.

Paura?
(come già scritto, vedi “SAMURAI” da pagina 216 a 218)