Dalla collaborazione per i Grandi Eventi a una riflessione sul futuro dell’Azienda.

Bibi Ballandi mi fu segnalato dal Consigliere d’Amministrazione Marco Follini. Capii subito che non era una raccomandazione di maniera; approfondii… e infatti Bibi curava allora gli interessi di comunicazione della Democrazia Cristiana e anche di Monsignor Biffi, Cardinale di Bologna (che per la verità si dedicava soprattutto alle anime). Era Monsignor Vecchi, suo Sostituto, che gestiva le risorse della Diocesi (così fu per lo storico concerto alla chiusura della 23ma Conferenza Episcopale Italiana per l’allora Papa e oggi Santo Giovanni Paolo II).

Successivamente, di pari passo con la sua affermazione sul mercato, Ballandi si avvicinò anche al Partito Socialista, in particolare a Gianni De Michelis… ricorderete il libro sulle discoteche di tutta Italia, che Bibi promosse in grande stile. Diciamo che il personaggio aveva, quando necessario, dei buoni referenti politici.

Il primo incontro con Ballandi fu piacevole, perché Bibi era simpatico di quella cordialità romagnola che, nel rapporto, arriva direttamente, ma soprattutto il personaggio era preparato: figlio d’arte… il padre era stato un grande organizzatori di concerti in tutta Italia e aveva curato gli interessi di cantanti importanti. Leggendari divennero i tortellini che Bibi portava in dono, in occasione del Natale, come fosse un Re maggio, a chi era in rapporto con la sua attività.

Già dalla prima riunione, gli detti un problema da studiare, nella prospettiva di una proposta che avrebbe riguardato come comunicare l’attualità musicale del mercato. La rubrica di Giovanni Salvi (che io sostituivo) era Discoring, il produttore interno era Antonello Caprino che vedevo e sentivo molto condizionato dalle richieste della discografia: al nostro pubblico, Rai 1 non aggiungeva nulla.

Con Bibi ho realizzato “Grandi Eventi” e show di livello per una ragione “serissima”, è stato l’unico tra i cosiddetti produttori televisivi a potenziare, almeno in quegli anni, la sua Società con competenze e risorse che gli hanno permesso di dare in tempi brevi risposte convincenti, talvolta innovative, alle richieste della mia Struttura di Programmazione. In particolare poi, ho potuto provare (variabile non di poco conto) nel periodo estivo spettacoli e personaggi al “Bandiera Gialla”, una discoteca in disuso trasformata e quindi attrezzata in “location TV” cioè uno studio sostanzialmente all’aperto e con coperture che sono state allestite progressivamente. Questo impegno estivo mi ha permesso di sperimentare personaggi che poi ho potuto promuovere nel palinsesto dell’anno.

Con questi argomenti ebbi il coraggio di confrontarmi con i cosiddetti “professori”, deputati a “sanificare” la RAI al grido “basta con gli appalti esterni… la RAI è la RAI ed è in grado di fare tutto”.

Il mio confronto fu con Nadio Delai (era stato Direttore Generale del CENSIS), allora Direttore di RAI 1 e con Gianni Locatelli (aveva lasciato la direzione del quotidiano “Il Sole 24 Ore” per fare il Direttore Generale dell’Azienda). La prima volta fui respinto, ma sfondai alla seconda dopo due mesi, quando i miei interlocutori avevano fatto i conti con la macchina RAI, poderosa, ma non veloce, in alcune cose arretrata, in un momento storico nel quale “fare la televisione” era una esperienza professionale in continua evoluzione e con tempi sempre più brucianti.

Il mio argomento n. 1 fu che il rapporto con i Produttori esterni consentiva di avere il cosiddetto rapporto con il Paese, tema che è stato sempre focale in tutte le gestioni con un impegno spesso formale. L’argomento n. 2 fu che al Produttore esterno io (il Dirigente televisivo) davo indicazioni concrete per la collaborazione e se i Produttori avevano proposte, io ero interessato soltanto a quelle in linea con la caratteristica editoriale in corso. L’argomento n. 3 fu così conseguente e si potevano ottenere tempi rapidi nella impostazione o nella soluzione di un problema. Convinsi Delai e insieme abbiamo ottenuto l’ok di Locatelli.

Il caso fece scalpore nel mercato, ma la sopresa fu vissuta con sobrietà per non dichiarare che molti collaboratori non corrispondevano ai tre criteri che ho esposto. Ballandi non credeva al mio successo ma, presto, se ne rese conto con ammirazione. Peccato che, quando lasciai la RAI nel 2000, lui non ebbe lo stesso coraggio, mi pare con Saccà, per consentirmi di collaborare con lui. Quando mi incontrò mi disse che mi aveva sacrificato per salvare la sua Azienda che non poteva perdere commesse. Non posso non dire che ci rimase male e, ora, nel raccontarlo, penso che sia un argomento sul quale riflettere.

L’ultima riflessione riguarda i Direttori di Rete, spesso anche i Direttori Generali che decidono di essere protagonisti, come per il Festival di Sanremo ma anche nei programmi affidati a quei personaggi TV che sono diventati delle “star”. Non ho nulla in contrario se hanno da portare un contributo positivo a situazioni complesse. Osservo però che il Festival, come il programma importante, dovrebbe essere il compito di un Dirigente di servizio alla loro responsabilità, mentre ci sono questioni di strategia (la RAI nel contesto europeo, la ricerca di risorse per consentire all’Azienda di essere competitiva nel mercato internazionale, come è stato nella produzione dei concerti di Madonna, di Prince e dei Pink Floyd) che non vengono affrontate e che sono soltanto di loro competenza; a queste possono dare ipotesi di lavoro soltanto loro… per dirla in parole povere… si occupano di temi di sicura popolarità mentre dovrebbero individuare ipotesi di lavoro per il futuro dell’Azienda.

In copertina una foto di Bibi Ballandi dal sito di Rai Play.